INTRODUZIONE

Erano passati più di cinquanta anni dal giorno in cui Alessandro Della Seta sbarcava per la prima volta a Lemno e più di quindici dall’ultima presenza italiana nell’isola quando Antonino Di Vita, nominato nel 1977 Direttore della Scuola, si assunse l’impegno di riprendere a Lemno lo studio e le ricerche in tutti e tre i siti dell’isola (Efestia, Poliochni e Chloi), che avevano costituito i campi di scavo aperti, fra il 1925 e il 1937, da Alessandro Della Seta. Vale la pena ricordare che dopo la fine del secondo conflitto mondiale Doro Levi, che aveva potuto raggiungere Lemno solo nel 1949 e che  aveva recuperato tra Atene, Lemno e Mitilene il materiale dello scavo di Poliochni, in gran parte ridotto a “cumuli mescolati alla rinfusa”, aveva chiamato Luigi Bernabò Brea, allora Soprintendente alle Antichità della Sicilia orientale, che come allievo della Scuola aveva lavorato negli anni ʻ30 a Lemno, a ricostituire la missione archeologica nell’isola con il compito specifico di pubblicare gli scavi condotti dalla Scuola nell’abitato preistorico di Poliochni fra il 1930 e il 1936. Tra il 1951 e il 1961 Bernabò Brea riuscì a mettere ordine alla massa di dati ricevuti da Levi e a controllarne con nuovi saggi di scavo la validità. Frutto di questo eccezionale lavoro sono i volumi Poliochni. Città preistorica nell’isola di Lemnos che fecero di questo insediamento uno dei siti della prima età del bronzo dell’Egeo settentrionale scientificamente meglio documentati.

Solo però nel 1985, superate notevoli difficoltà di ordine burocratico, fu possibile predisporre un primo programma d’intervento volto al recupero delle rovine di Poliochni dalla loro quasi totale scomparsa.

Tale programma, concordato ovviamente con la Direzione ellenica per il restauro dei monumenti antichi e con la competente Soprintendenza alle Antichità di Mitilene, ebbe inizio nel biennio 1986-1987: la progettazione e la direzione furono affidate a Santo Tiné, professore ordinario di Paletnologia dell’Università di Genova e per molti anni collaboratore di Bernabò Brea nella Soprintendenza alle Antichità di Siracusa. Ebbero quindi inizio nel sito, un’area di oltre 11.000 m2, a quel tempo ridotta ad una pietraia sterposa, i lavori di consolidamento e di ripristino delle strutture al fine di restituire leggibilità agli edifici, ridotti in molti punti al filare di fondazione, e alle strade dell’abitato. Fu definito un percorso preferenziale di visita e nella restaurata casetta-magazzino, costruita da Della Seta, fu esposto un tabellone illustrativo con piante policrome relative alle principali fasi dell’abitato. Gli interventi furono mirati al tratto di mura compreso tra la postierla 38 e la porta 101, che con la strada 102 lastricata, costituiva l’accesso principale all’abitato. Impegno prioritario fu quello di impedire l’ulteriore deterioramento delle mura, uno degli aspetti monumentali più interessanti di Poliochni. Furono anche consolidati i muri dei vani 801-803, rialzando e completando i filari sommitali; nel percorso di visita, furono inclusi i due pozzi, situati nelle piazze 103 e 106, nonché il megaron 605, che con i vani adiacenti rappresenta un significativo esempio di unità abitativa del periodo Giallo. I lavori si limitarono alla ricostruzione, laddove necessaria, di uno o due filari di pietre dell’alzato dei muri per colmare le lacune esistenti ricostituendo la leggibilità delle strutture; alla rimozione dei filari non più coesi e pericolanti, ricollocando le pietre al loro posto dopo un’accurata pulizia e la rimozione del materiale disgregato. Le pietre spostate furono ricollocate utilizzando sia malta di terra che malta ottenuta con terra e cemento speciale che malta di calce.

Nel 1988 la missione, diretta da Santo Tiné, coadiuvato da Antonella Traverso, Alberto Benvenuti e, per il restauro, da Maria Ricciardi, in synergasia con una équipe dell’Eforia alle Antichità di Mitilene eseguì pochi e limitati saggi di scavo finalizzati a chiarire alcune problematiche sia per una migliore programmazione del lavoro di restauro del sito sia per l’eventuale  ripresa di regolari campagne di scavo negli anni a venire. In particolare: un saggio (A), praticato alla base della cortina muraria ai piedi del vano 14, portò alla luce le fondazioni delle mura; un secondo (B) fu aperto all’estremità meridionale del bouleuterion con lo scopo di accertare se da quel lato esistessero tracce di un ingresso all’edificio, ma purtroppo non affiorò nessun altro indizio oltre a quelli già noti; un terzo saggio (C), piuttosto superficiale, fu aperto a fianco del lato settentrionale del bouleuterion nella strada 102 con l’intenzione di controllare se sotto il basolato stradale non esistessero tracce di pavimentazioni più antiche e se su quel lato esistesse l’ingresso all’edificio, purtroppo la ristrettezza del saggio e l’esigenza di non compromettere ulteriormente quanto restava della pavimentazione stradale non permise di spingere lo scavo oltre 40 cm di profondità, con risultati negativi per la ricerca; un quarto saggio (E) fu eseguito all’interno del vano 652c nell’area della piazza 103b con lo scopo di accertare l’eventuale presenza di lastre della pavimentazione della piazza, la cui originaria sistemazione è ancor oggi visibile nello slargo 104: fu accertata la presenza di almeno due sconnesse lastre pavimentali poste a profondità diverse in uno strato con materiali del periodo Giallo. Nel contempo furono portati avanti anche i lavori di restauro e valorizzazione. Nel vano 14 durante il restauro del muro orientale furono scoperti dei gradini-sedili che fanno da pendant a quelli in vista del lato occidentale; nel megaron 605 e nei vani ad esso adiacenti, oltre al restauro delle strutture, si è procedette con l’utilizzo di tralicci di canne ad una ricostruzione indicativa dell’alzato e della copertura dell’edificio nel suo complesso.

Nel 1989 continuò, sotto la direzione di Antonino Di Vita, coadiuvato da Maria Ricciardi e Alberto Benvenuti, l’opera di restauro della cortina muraria relativamente al tratto 12 a SW della porta 101. Una volta ricolmati i piccoli saggi praticati l’anno precedente si procedette alla pulizia e allo scavo del crollo, recente, antistante la parte del muro compresa tra le due canalette, per tagli in modo da tenere distinti i materiali del taglio 1 da quelli del taglio 2, più profondo, con materiali provenienti dall’emplecton. Fu individuata e ricollocata la pietra originale della spalletta settentrionale della canaletta vicino all’angolo sud-occidentale della struttura muraria, di cui in quel tratto fu rinforzato anche l’emplecton. Fu coperto con un riparo di alghe e fango il vano 607 per garantire una protezione di un grande pithos, ivi rinvenuto da Bernabò Brea, che una volta restaurato, era stato riposizionato in situ. Nel vuotare dalla terra il pithos vi furono scoperti all’interno due vasi; uno di essi era una brocca, forse il grande recipiente era destinato a contenere liquidi. Un altro importante lavoro di conservazione fu la pulizia e il riempimento con sabbia del grande e profondo saggio fatto nel 1934 nello spazio 26 da Enrico Paribeni fra la parete esterna meridionale del vano 28 e la strada 102.

Nel 1990 fu continuato, sotto la direzione di Santo Tiné, coadiuvato da Maria Ricciardi e Alberto Benvenuti, il lavoro di restauro delle strutture urbane, con particolare riguardo per la cinta muraria sempre nel nel tratto 12. Una poderosa opera muraria, conservatasi in altezza per ca. 3,50 m, ma molto disastrata tanto che già nel 1988 si era dovuto intervenire costruendo davanti alla parte più settentrionale un muro a secco. Il consolidamento e il ripristino di questo settore della cortina muraria, a partire dall’angolo sud-occidentale del tratto 12, era già iniziato nel 1989; nel 1990  fu proseguito per ulteriori 4 m verso N. Lungo il muro orientale dela vano 28 per proteggere dalle acque meteoriche questa struttura fu realizzato un canale di scolo, che raggiungeva la strada 102. Oggetto di lavori di consolidamento e di restauro, a cura di Antonella Traverso e Alberto Benvenuti, furono anche il muro settentrionale e quello occidentale del megaron 317, situato nella parte settentrionale della piazza 106, di cui furono messi in luce, immediatamente a N del megaron del periodo Giallo, le strutture dell’edificio appartenenti al periodo Verde e al periodo Rosso. Da ricordare un piccolo sondaggio (A1) effettuato da Flavia Trucco e Vincenzo Tiné a ridosso del tratto 12 della cortina muraria a 2 m dall’angolo meridionale della stessa con il fine di riconoscere la base del muro.

Nel 1991 fu continuato il restauro del tratto 12 della cortina muraria iniziando da dove la struttura mostrava un’antica sarcitura con un dente lievemente aggettante. Da questo dente iniziava un’ampia lacuna nella cortina: fu ricostruito e consolidato l’emplecton e la cinta fu risarcita nei limiti utili al consolidamento della struttura con la sostituzione e il rinforzo dei blocchi, che avevano ceduto, fino a raggiungere il tratto coperto dal contrafforte eretto nel 1988. In quell’anno fu effettuata, sotto la direzione di Santo Tiné e in collaborazione dell’Istituto Italiano per l’Archeologia Sperimentale, una campagna di prospezione del sito e del contesto territoriale di Poliochni, a cura di équipes interdisciplinari: una geofisica (Emanuele Bozzo, Fulvio Merlanti, G. Caneva, G. Ghezzi, Francesca Giomi, Barbara Traversone), una geoarcheologica (Nadia Colombi, Antonella Traverso, Vincenzo Tiné, Alberto Benvenuti) e una dedicata al survey (Sabina Magro, Anna Malgarise, Lidia Perin). Il compito di elaborare la topografia di dettaglio tramite un sistema di stazione totale elettronica per geodesia fu affidato a Sergio Della Mura. L’intervento geofisico si articolò in due tipi di attività: quella di inquadramento e di esplorazione e quella di dettaglio e/o di prospezione. Fu effettuato il rilevamento geo-litologico e geo-morfologico del territorio di Poliochni, compreso tra Kaminia a N e H. Sophia a S e delimitato a W dalla dorsale costiera e ad E dal mare. Mediante l’esecuzione di 27 sondaggi meccanici, fu definita in dettaglio e in profondità l’area peri-urbana: molto interessante la presenza di una faglia, accertata con il rilevamento magnetometrico, che attraversa in senso E-W la collina di Poliochni con interessanti implicazioni che l’esistenza di questa frattura tettonica, proprio al centro dell’abitato, comporterebbe. L’équipe dedicata all’archeologia di superficie procedette al rilevamento del paesaggio agrario moderno del territorio di Poliochni al fine di delimitare gli antichi areali di sfruttamento e gli ambiti di emanazione del sito oltre che alla verifica dei siti già noti (Axià, Trochalià, Vriokastro, Mikro Kastelli) con connotati simili a quelli di Poliochni al fine di restituire una modellistica insediamentale, che sembrerebbe prevedere una collocazione preferenziale su promontori costieri o alture sub’costiere, comunque di un ampio background agricolo. Sempre nel 1991, nel quadro della nuova esposizione museale dei reperti di Poliochni, che avevano occupato fino ad allora tutto il secondo piano del museo di Myrina (8 stanze per un totale di 29 vetrine), Flavia Trucco procedette ad una metodica revisione per scegliere quali oggetti esporre nelle nuove vetrine, al piano terra, assegnate a Poliochni.

Nel 1992 e nel 1993 i lavori di restauro delle strutture del sito ebbero un’interruzione dovuta all’apertura di 6 saggi di scavo, diretti da Santo Tiné, che videro la collaborazione con la Scuola dell’Istituto Italiano per l’Archeologia Sperimentale e dell’Istituto di Scienze Archeologiche dell’Università di Genova. I Saggi A, D, H/est, H/ovest e M erano finalizzati a determinare le varie fasi delle mura dell’abitato e ad una loro datazione e il Saggio N a verificare la presenza o meno di evidenze archeologiche nell’area subito fuori all’ingresso del sito destinata a parcheggio. Il Saggio A, affidato a Antonella Traverso, già aperto nel 1988 a S della porta 101 a ridosso del tratto 12 della cortina muraria, dove si conservava ancora un testimone della stratificazione originale, fu esteso per 8 m in direzione N-S e per 7 m in senso E-W con lo scopo di controllare la successione degli eventi susseguitisi prima e dopo la costruzione del muro. Il Saggio D, affidato a sempre a Antonella Traverso, fu aperto a ca. 40 m a N del Saggio A, poco a W del bastione 34 del periodo Rosso. Il Saggio H/est, affidato a Vincenzo Tiné, aperto nell’area nord-orientale dell’abitato, aveva lo scopo di verificare la presenza di strutture difensive in questo settore, dove due muri del periodo Azzurro all’incrocio delle strade 107 e 108 erano stati interpretati da Bernabò Brea come opere di fortificazione. Il Saggio H/ovest, affidato all’inizio a Alberto Benvenuti e successivamente a Massimo Cultraro, era costituito da una trincea lunga ben 24 m in senso E-W e larga 1,50 m, che iniziava ad E ai margini dei vani 308-309, parzialmente scavati da Luigi Pietrogrande, e che terminava a W a ca. 14 m prima della recinzione dell’area archeologica. Il Saggio M, affidato a Vincenzo Tiné, fu aperto nella fascia di terreno che si trova ad E del strada 102 e che termina sulla balza che da sul mare, dove secondo Bernabò Brea una larga porzione dell’abitato sarebbe precipitata a mare; finalità del saggio, perpendicolare a questa fascia di deposito, era quella di verificare se i limiti fossero o meno quelli originari. Il Saggio N, affidato a Flavia Trucco coadiuvata da Mohamed Faraj Shakshuki del Dipartimento alle Antichità della Tripolitania, aperto a ca. 3 m a S del carotaggio nº 26, attestò la presenza di strati antropizzati in età preistorica restituiti da un imponente deposito di oltre 2 m. Nel 1992 furono fatti anche dei limitati saggi per controllare alcune anomalie rilevate nel 1991 dalle prospezioni geofisiche a ca. 150 a W dell’abitato; ne risultò che si trattava di opere di bonifica del terreno fatte in età romana. Nell’agosto del 1992 alcuni componenti della missione (V. Tiné, A. Traverso e A. Benvenuti) con il direttore, (S. Tiné) parteciparono ai lavori del 1° Sinèdrio dei Sindaci dell’Egeo Λήμνος Φιλτάτη, tenutosi a Myrina, con una relazione su Οι νεότερες ανασκαφές στην Πολιόχωη.

Nel 1994, portato a termine il programma quinquennale che aveva consentito la ripresa delle indagini a Poliochni, la missione, sempre diretta da Santo Tiné coadiuvato da Irene Molinari, Elena Natali, Antonella Traverso, Massimo Cultraro, Vincenzo Tiné e Alberto Benvenuti, si dedicò quasi esclusivamente allo studio dei reperti provenienti dagli scavi degli anni precedenti e alla loro documentazione grafica e fotografica. Fu continuata anche l’opera di restauro e di consolidamento delle strutture dell’insediamento, anche grazie alla possibilità dell’Eforia alle Antichità di Mitilene di utilizzare finanziamenti straordinari della Comunità Europea finalizzati alla sistemazione del sito scelto per accogliere la manifestazione per la firma da parte dei garanti internazionali del progetto Dichiarazione dell’Egeo per la salvaguardia dell’Arcipelago dell’Egeo.

Nel 1995, sempre sotto la direzione di Santo Tiné, furono ampliati i Saggi H/est e H/ovest, aperti nel 1993, e ne furono eseguiti due nuovi: T (affidato ad Antonla Traverso), alle pendici settentrionali della collina verso la valletta che delimita l’altura da N, e U (affidato ad Alberto Benvenuti), entro il vano 28, dove Silvio Acame aveva lasciato un testimone, un diaframma non scavato, notevolmente  danneggiato ormai da fattori meteorici: da qui la priorità di effettuare un saggio di scavo per sfrutturare questa ultima possibilità per un ricontrollo dello scavo degli anni ‘30.

Nel 1996, se si accettuano alcuni limitati interventi di consolidamento e di restauro delle strutture messe in luce negli anni precedenti in specie nell’area settentrionale dell’insediamento e in modo particolare lungo il tratto orientale della starda 108, seguiti da Santo Tiné coadiuvato da Antonella Traverso, i lavori della missione furono tutti finalizzati allo studio dei materiali dei vecchi e dei nuovi scavi. Nell’aprile di quell’anno, tutti i componenti della missione poliochnita presentaro i risultati degli scavi fatti a Poliochni negli anni precedenti al Convegno Internazionale di studio Poliochni e l’antica età del Bronzo nell’Egeo settentrionale, organizzato dalla Scuola in collaborazione con la Soprintendenza  alle Antichità classiche e preistoriche di Mitilene, con l’Istituto di Archeologia e Antropologia dell’Egeo dell’Università di Atene e con la Società Archeologica Greca, tenutosi nell’Aula Magna della sede  di Atene.

Nel 1997 le ricerche, dirette da Santo Tiné con l’ausilio di Antonella Traverso, Massimo Cultraro, Antonio Salerno, Vincenzo Tiné e Alberto Benvenuti, furono condotte nell’area settentrionale dell’insediamento e videro l’ampliamento dei Saggi H/est e H/ovest, già aperti nelle campagne del 1993 e del 1995, allo scopo di accertare l’esistenza di strutture difensive e di delimitare verso N l’area dell’abitato. Sempre nell’area settentrionale fu aperto il saggio Z, affidato a Antonio Salerno, nella zona a SW della strada 108, che consentì di mettere in luce 3 vani contigui, tutti a pianta quadrangolare, in uno dei quali fu trovato in situ un singolare apprestamento, incerta ne rimane la funzione, formato da una canaletta a lastre disposte di piatto e di taglio che terminava in corrispondenza di un pithos interrato. Nella parte sud-occidentale della collina fu aperto, alle spalle della postierla 10, rispettando sia il tratto originario dell’opera di occlusione sia l’ampia integrazione effettuata negli anni ’50, il saggio X, affidato a Antonella Traverso, con la finalità di approfondire l’indagine sulla funzione della cortina muraria messa in luce dagli scavi degli anni ʻ30.

Fig0
Poliochni 1998. I componenti e gli operai della missione. Al centro, Santo Tiné e, alla sua destra, il capo mastro Alechos Vafeas.

A partire dal 1998 e fino al 2014 si sono succedute diverse campagne estive di studio, indagini, analisi e restauri, che hanno consentito di giungere all’attuale pubblicazione integrale dei risultati delle nuove ricerche a Poliochni.

Alberto G. Benvenuti