Sotto la direzione di Maria Ricciardi e con la collaborazione dei paletnologi Alberto G. Benvenuti e Flavia Trucco, nell’estate del 1990, si è continuato nel delicato lavoro di restauro delle strutture urbane. In particolare si è lavorato nella cinta muraria della città del periodo Azzurro nel tratto 12, quello a SW della porta urbica 101.
Si tratta di un poderoso muro di contenimento-difesa conservato in altezza ancora per m 3,50, ma in condizioni così disastrose che già nel 1988 si era dovuto intervenire costruendogli davanti, nella sezione più settentrionale, un muro provvisorio di pietre a secco lungo m 7,50.
Ho già ricordato [1] come si sia proceduto nel 1989 al consolidamento e al ripristino della cortina muraria e del relativo emplecton a partire dall’angolo SW del tratto 12. Il lavoro è stato proseguito per ulteriori 4 m verso N nel 1990, mentre nel 1991 si è affrontato il tratto successivo in cui la cortina mostrava un’antica sarcitura che si concludeva con un dente lievemente aggettante (m 0,60) che si alzava sino a m 1,70 sul piano attuale di scavo [2]. Dal dente – di cui restavano solo tre filari fuori terra – iniziava un’ampia lacuna con cedimento anche dell’emplecton: questo è stato ricostituito e la cortina è stata risarcita con il consueto sistema di separazione dall’originale, sostituendo o rinforzando i blocchi che avevano ceduto (Fig. V.3.1). Avanzando così verso N si è raggiunto il tratto coperto dal contrafforte costruito nel 1988 che si è cominciato ad eliminare.

In questo muro, ovunque siamo intervenuti, la ricostruzione è stata contenuta nei limiti utili al consolidamento della struttura. Del muro 12 è stato anche consolidato l’emplecton in alto là dove esso faceva da spalla al muro occidentale (spesso m 0,70-0,80) del vano 14, il c.d. bouleuterion, muro del quale è stato messo in luce un tratto di m 2 del paramento in lastre sottili conservate per m 0,70 di altezza, finora nascosto dal più tardo muro 15 [3].
La messa in luce del muro occidentale del c.d. bouleuterion ha consentito di evidenziare il limite meridionale dell’edificio, sottolineato da una canaletta per il deflusso d’acqua, il che potrebbe far supporre che l’edificio fosse scoperto; d’altronde tale rimase anche quando il vano non servì più per riunioni, essendone stata obliterata la gradinata orientale. Nel controllare la quota del vano, M. Ricciardi ha poi rilevato una differenza di livello di cm 25/30 fra i gradini del lato occidentale; questo ed altri indizi la portano ad ipotizzare una fase, per questa sala, precedente a quella conservataci.
Si è lavorato anche a difendere dalle acque meteoriche l’altro grande vano a ridosso delle mura azzurre, il c.d. granaio (vano 28), creando lungo il suo muro orientale un canale si scolo che raggiunge la strada 102.
Continuando nel lavoro di consolidamento e restauro – a cura di Alberto Benvenuti e Antonella Traverso – si è intervenuti nell’importante megaron 317, sul lato settentrionale della piazza 106, sia sul muro settentrionale sia sul muro occidentale (Fig. V.3.2). Durante le operazioni di pulizia dell’area sono stati rimessi in luce, immediatamente a N del megaron di fase gialla, elementi di altri due vani, poco più a N, più antichi appartenenti al periodo Rosso (subito al di sotto del 317) e al periodo Verde [4].

Nel 1990 un sondaggio – A1 (m 1,50xm 1) – è stato effettuato da Flavia Trucco e Vincenzo Tinè a ridosso del muro 12, a m 2 dal suo angolo meridionale, allo scopo di arrivare a scoprire la base del muro stesso, a ca. m 0,50 dal piano odierno.
Fra i materiali, due i ritrovamenti degni di nota avvenuti nel 1990, ma purtroppo entrambi fuori strato: nel cortile 810, fluitata forse dal vano 819, una testa di mazza frammentaria in marmo bianco a profilo sferoide con foro passante biconico (diam. cm 6,7; cm 5,6; inv. 30027), probabilmente d’importazione cicladica (Fig. V.3.3), e nello spazio 622, all’altezza dell’angolo NE del megaron 605 a livello del culmine del suo muro orientale, un pilgrim’s flask, con tre anse ad anello verticale, bilenticolare (h. max cm 30; inv. 30028), di argilla sabbiosa, con stretto collo cilindrico e bocca a taglio leggermente obliquo su cui s’imposta una delle anse; trova confronti con Troia II ed è di fine fattura (Fig. V.3.4).


Durante i lavori di restauro del muro 12, nel 1991, sono stati recuperati nell’emplecton non pochi frammenti ceramici, ossa animali e conchiglie, che sono stati studiati da Flavia Trucco la quale li ha ritenuti ‘tutti tipologicamente inquadrabili nel periodo Azzurro’, alcuni forse da attribuire alla fase arcaica di tale periodo. Un rinvenimento di singolare importanza era effettuato il 10 settembre dl ’91 sempre nell’emplecton del muro 12, a m -0,63 dal sommo del muro occidentale del c.d. bouleuterion, m 0,90 a N dall’inizio di tale muro e a m 0,50 ad W dello stesso. Si tratta di un sigillo in pietra arenaria, mancante di una piccola parte dell’appicagnolo. Sulla base rettangolare, riquadri a rilievo di forma da quadrangolare a rettangolare; appicagnolo con doppio foro passante, l’uno centrale, l’altro, più piccolo, decentrato e attualmente incompleto (Fig. V.3.5a, Fig. V.3.5b). Il confronto più vicino che mi sia riuscito di trovare, fra il materiale di Poliochni, è quello con un sigillo di conchiglia del periodo Azzurro dallo stesso muro 12 [5].


Datazione al carbonio 14 del periodo Azzurro[6]
Fra i metalli da Poliochni al museo di Mitilene, prelevati alcuni anni addietro per analisi da una equipe del Max Plank Institut für Chemie di Mainz, si è trovato quella che creduta una “scoria” era in realtà un fico carbonizzato proveniente dal megaron 832, taglio 22 (inv. 6100/12).
Inviato dai colleghi tedeschi all’ETH di Zurigo per un’analisi al C14 è risultata un’età di 4175±70 anni, che corrisponde a una data calibrata fa 2885 e 2606 a. C., cronologia che s’accorda bene con quella di un carbone da Thermì I per il quale Korfmann[7] ha trovato un’età di 4230±45 anni equivalente alla data calibrata 2910-2706 a. C. Vale a dire che la fase azzurra di Poliochni e il primo insediamento di Thermì sarebbero da ritenere coevi. La notizia – è la prima volta che un oggetto di questa fase di Poliochni viene datato al C14 – servirà certamente di orientamento agli studi futuri degli specialisti della prima età de bronzo.
Antonino Di Vita
Note
[1] Di Vita 1993, 433; per i metodi di consolidamento e restauro adoprati a Poliochni si vedano Ricciardi – Tiné S. 1991, 389-401.
[2] Questa riparazione antica appare con tutta evidenza su una foto del 1936 (A3116) conservata nell’archivio della Scuola ed ho potuto riconoscerla anche attraverso un’accurata autopsia nel 1991.
[3] Cf. Di Vita 1993, 431, figg. 2-3.
[4] Altri interventi, limitati in genere al consolidamento dei filari di culmine dei muri, hanno interessato, nel 1990, diversi vani (401a, 401b, 403, 409b, 410b, 413) nelle vicinanze della piazza 106 ed altri (650b, 703, 1005) nei pressi delle strade 102, 103, 112 anch’esse ripulite e risistemate, insieme al tratto 104. Inoltre i grandi pithoi 22 e 24, restaurati, sono stati risistemati nei vani 607 e 608.
[5] Poliochni I, 157, tav. LXXXVIg. Altri confronti suggeritemi da F. Trucco, che ringrazio, in Müller Karpe 1974, tavv. 289, 23, 28; 290, 1323; 291, B15, 301 B8.
[6] Sono vivamente grato a F. Begemann per l’importante notizia che qui riporto (lettera del 6 gennaio 1991); v. Pernicka et alii 1990, 263-298.
[7] Korfmann 1987, XVIII.