Nel 1988 la missione della Scuola, sotto la direzione di Santo Tiné, coadiuvato da Antonella Traverso e da Alberto Benvenuti e, per i lavori di restauro, da Maria Ricciardi, ha operato in sintonia con una équipe dell’Eforia di Mitilene guidata da Aglaia Archontidou nell’ottica di chiarire alcune problematiche anche per meglio programmare il lavoro di restauro dell’area scavata negli anni futuri. Principalmente si è operato su due edifici singoli e sui vani ad essi adiacenti: il bouleuterion (vano 14) e il megaron 605 con i vani 606-609. Un’accurata e profonda pulizia dei due edifici riportò alla luce le strutture grosso modo come apparivano nelle fotografie pubblicate da Bernabò Brea [1]. All’interno del vano 14 si è cercato di ritrovare le quote di posa dei numerosi blocchi, appartenenti alla gradinata occidentale, rinvenuti interi e/o frammentari nell’accumulo di pietre. I blocchi individuati sono stati legati con malta alla muratura preparata e consolidata. Prima di iniziare il completamento dei gradini si è provveduto alla costruzione di un muro a secco di sostegno (una semplice struttura provvisionale di emergenza) alla cinta muraria che costituisce il lato esterno del bouleuterion. Nel corso della pulizia è stata messa in luce qualche lastra della pavimentazione non evidenziata nei precedenti lavori, eseguendo anche un piccolo saggio sulla fronte esterna del muro settentrionale, dove, dopo i lavori di pulizia, sembrava di riconoscere un’ampia apertura al centro, in seguito obliterata, che poteva forse costituire l’accesso al vano dalla strada 102. Il piccolo saggio, largo non più di 50 cm lungo la parte, ha messo in luce il paramento che effettivamente mostrava un cambio di tecnica costruttiva in relazione all’apertura ipotizzata, ma non è stato possibile raccogliere dati sufficienti a sostegno dell’ipotesi formulata. Relativamente sempre al vano in questione nel 1988 si è acquisito un importante dato: durante il consolidamento del tratto più fatiscente del muro orientale al limite settentrionale dell’edificio è stato portato alla luce un piccolo tratto della gradinata di questo lato (Fig. V.2.1). La parte messa in luce era in buono stato di conservazione, protetta com’era dal muro soprastante. Nel rialzare il muro si ebbe l’accortezza di lasciare in vista una parte della gradinata ritrovata: ritrovamento che confermerebbe che l’edificio almeno in un sua fase era un vero e proprio luogo di riunione. Si è anche proceduto alla pulizia e al consolidamento dell’area del megaron 605 e dei vani ad esso adiacenti. La ricostruzione indicativa dell’alzato e della copertura, per avere un’idea della volumetria del complesso edilizio, è stata messa in opera mediante l’utilizzo di tralicci di canne. Fra le soluzioni possibili per la copertura degli ambienti si è optato per quella a doppio spiovente con il colmo poggiante sul muro di spina. Il consolidamento delle strutture ha compreso anche il forno nell’angolo NW del vano 650a, arrivando fin quasi al pozzo. I grandi pithoi, abbandonati in situ nei vani-magazzino 607-608, sono stati prelevati e trasportati al museo di Myrina per il restauro (Fig. V.2.2).


Nel 1989, sotto la direzione di Antonino Di Vita, coadiuvato da Maria Ricciardi e Alberto G. Benvenuti, sono continuati, una volta eliminati gli arbusti e le sterpaglie antistanti i tratti 12 10 e 9 della cinta muraria, i lavori di restauro relativamente al tratto 12, posto a SW della porta 101 per una lunghezza di ca. 8 m. Si è proceduto alla pulizia, allo scavo e al rilievo (1:50) del crollo antistante la parte del muro compresa tra le due canalette. Sono stati evidenziati due strati: lo strato 1, che interessava un’area di ca. 8,30×1,60 m di fronte al tratto compreso tra il dente meridionale del muro alzato nel 1988 e l’angolo a S della canaletta 2, quella situata nei pressi dell’angolo SW; lo strato 2, che interessava un’area, a 4,40 m dal paramento della cinta, in cui si trovano allineati in senso NS dei grossi blocchi di arenaria e il ʻpaneʼ di terra, al di sotto di essi, lasciato da Giovanni Becatti nel 1936 [2]. Nella parte meridionale dello strato 1, il crollo (forse avvenuto in due tempi), al di sotto della canaletta 2, è stato diviso in due tagli e le pietre, convenientemente segnate con uno o due punti, disposte nell’area antistante il muro. È stato possibile individuare la pietra, con cui poter colmare la lacuna della spalletta settentrionale della canaletta 2, che è stata ricollocata nella sua posizione originaria; nel contempo si è proceduto al rinforzo, sempre in questo tratto di muro, dell’emplecton. Nel vano 607 è stata relalizzata una costruzione di un telaio di pali lignei con una copertura di alghe e fango a protezione del pithos 21bis (verosimilmente un contenitore per sostanze liquide), che restaurato (si conserva per un’h. di 105 cm e per un diam. di 114 cm), era stato ricollocato nella sua posizione originaria (Fig. V.2.3).

Un altro importante lavoro di conservazione è consistito nella pulizia e nel conseguente riempimento con sabbia (ca. 10 m3) dell’esteso e molto profondo saggio, effettuato nel 1934 da Enrico Paribeni, nello spazio 26, situato tra la parete esterna medidionale del vano 28 e la strada 102. Si è infine proceduto con un impasto di terra rossa argillosa mista ad alghe e paglia alla riparazione della copertura della casetta-magazzino nell’area dello scavo danneggiata nel mese di giugno da un’eccezionale grandinata. Sono state effettuate opere di canalizzazione delle acque meteoriche a protezione del tratto 12 della cinta muraria: nel vano 14 è stata realizzata una spalletta che unitamente all’utilizzo dell’antica canaletta e di una tubazione in plastica permette il deflusso delle acque oltre la cinta; si è inoltre provveduto anche alla protezione e al sostegno (leggero cordolo di malta e scarpa di terra) dell’acciottolato lungo il lato orientale all’estremità settentrionale esternamente al vano. Si è inoltre effettuata la sistematica raccolta e il riesame dei frammenti ‘di scarto’ lasciati da Bernabò Brea nell’area di scavo. Durante questo lavoro sono stati recuperati nei vani 403 e 407b frammenti di due pithoi molto interessanti. I quattro frammenti provenienti dal 407b (inv. 30020a-d) sono decorati sull’ansa e su una stretta fascia rilevata presso l’ansa stessa da una serie di impressioni a rilievo abbastanza piatto mediante la rotazione di un sigillo cilindrico a incavi (Fig. V.2.4) [3].

Alberto G. Benvenuti
Note
[1] Per il bouleuterion: cf. Poliochni I, figg. 103-106; per il megaron 605 e vani adiacenti: cf. Poliochni II, figg. 104, 106, 108, 112-113.
[2] Il ʻpaneʼ di terra, che sosteneva, i blocchi di arenaria (n° 1170: Poliochni I, Atlante tav. 11) appariva unito verso W a quello, ad una quota leggermente più alta, su cui si trovano allineati alcuni grossi blocchi, in verticale, poggianti su altri posti orizzontalmente e aggettanti verso S (n° 1176: Poliochni I, fig. 82).
[3] Benvenuti 1993, 373-378; cf. anche Poliochni II, 188, 298-302, tav. CCLIV.