Evidenti caratteri di novità, che contraddistinguono questo momento della vita del sito, si identificano nella costruzione di numerose strutture ad uso collettivo, segno dello sviluppo sensibile di molti aspetti dell’organizzazione sociale, politica ed economica del gruppo insediato sulla collina di Poliochni. I numerosi studi sulla trasformazione in senso urbano dei centri dell’area egea [1] evidenziano un chiaro sviluppo in questo senso a partire dalla prima età del Bronzo.
è opportuno quindi verificare per il periodo Azzurro evoluto di Poliochni l’eventuale ricorrenza di quei parametri strutturali che solitamente vengono assunti come indicativi di uno stadio protourbano o urbano.
Estensione e natura dell’insediamento (Fig. IV.4.1)
L’elemento più significativo per questa fase è rappresentato dal fatto che la città si contrae all’interno di una cortina muraria. Oltre al fatto che queste strutture perimetrali dell’insediamento rivelano un sorprendente bagaglio di conoscenze tecniche, la presenza di un’opera pubblica di tali dimensioni suggerisce un’organizzazione sociale capace di far fronte ad un progetto complesso e condiviso dall’intera comunità.

Per la costruzione delle mura, che in origine dovevano spiccare dal piano di campagna di circa 4 m, fu eseguita una fossa di fondazione ad U che, in alcuni tratti del saggio A, intaccava la struttura abitativa precedente, mentre nel saggio U le mura sono state fondate in un taglio ad L del deposito presistente [2].
La tecnica con cui furono realizzate queste mura è quella “a cassoni” ovvero con un doppio paramento di poderosi muri con pietre irregolari di medie dimensioni, riempiti con un caratteristico deposito argilloso, sterile o contenente frammenti del periodo Nero [3].
Il filare di base è realizzato con grossi lastroni di arenaria di forma allungata, che ricorrono anche, a corsi, a media altezza. È questo l’unico caso a Poliochni in cui viene utilizzato questo particolare litotipo, il cui approvvigionamento doveva avvenire in aree relativamente distanti dal sito, forse dalla zona di Aghia Panaghia. Negli altri casi, infatti, vengono sempre utilizzate rocce di origine sedimentaria o di natura vulcanica, facilmente reperibili in prossimità del vicino promontorio di Voroskopos [4].
La costruzione delle mura avvenne, con molta probabilità, seguendo uno schema a moduli, chiaramente percepibili soprattutto nel tratto meridionale della cortina muraria. Lungo il tratto denominato “12” infatti, poco prima della deviazione delle mura verso il mare, si può leggere ancora adesso, una cesura netta nel prospetto. Quest’opera architettonica determinò comunque un forte dislivello tra l’area esterna alle mura (posta a quota 6,30 m s.l.m. in questa zona) e quella interna (a quota 8,50 m s.l.m.).
Forse proprio a causa del forte dislivello le prime mura crollarono nel tratto libero a loro antistante. Indizi di questo crollo sono stati rinvenuti non solo nei saggi A ed U ma anche nei saggi degli anni ’50. Lo strato di grosse pietre ed argilla, identificato da Bernabò Brea a partire dal taglio 18 nel saggio I [5] e quindi ad una quota coincidente a quella dei nostri saggi, può infatti essere ricondotto allo stesso evento. Questo crollo non dovette in ogni caso interessare l’intera cortina muraria. Esso era apparso infatti consistente nei tratti antistanti i vani 14 e 28 indagati dai vecchi scavi, mentre l’ampliamento del saggio A in direzione Sud, ha rivelato come le macerie tendessero a ridursi notevolmente e lasciare il posto ad uno spiccato di muro in stretta connessione con quanto conservato tutt’oggi.
Si è quindi ipotizzato [6] un crollo circoscritto del muro perimetrale sud-occidentale, dovuto a cause concomitanti. Un ruolo importante deve aver avuto certamente la spinta che la massa di deposito del precedente periodo Azzurro arcaico esercitava alle spalle ma la disposizione delle pietre collassate dal paramento esterno e l’estensione dell’emplecton nel tratto antistante quello indagato dal saggio A su una lunghezza di oltre 7 m, nonché la compressione degli strati di allettamento nella fossa di fondazione, fa pensare che il crollo sia stato determinato da un terremoto.
Le finestrelle
Alla luce delle nuove evidenze, in particolare del lungo ed esteso crollo antistante le mura documentato con il saggio A, di cui si è detto sopra, emerge che le mura stesse dovevano esser libere da gran parte di quel deposito a loro antistante che fu interpretato da Bernabò Brea come una discarica. Inoltre, una apertura di circa cm 20 x 20, chiaramente coeva strutturalmente con le mura stesse, attraversa le mura proprio in corrispondenza del saggio A e consentiva il deflusso delle acque verso l’esterno. Appare evidente pertanto che per assolvere questa funzione nessun ostacolo doveva ostacolare l’uscita dell’acqua, tanto meno una massa di terreno archeologico scaricata intenzionalmente di fronte alle mura.
Questa canaletta trova corrispondenza in numerose altre strutture analoghe ricavate ad esempio nel paramento del muro occidentale del cd. Granaio e posizionata alla stessa quota, in corrispondenza cioè del residuo di un battuto pavimentale che era già stato segnalato dai primi scopritori e rilevato anche da Bernabò Brea [7]. Nel prospetto murario occidentale del periodo Azzurro si aprono altre finestrelle [8], con lo scopo presunto di consentire alle acque meteoriche di defluire con maggiore facilità [9]. Va segnalato che tutte queste finestrelle corrispondono a canalette ricavate nello spessore delle mura e sono grossomodo alla stessa quota, e cioè tra 8,50 e 8,80 m s.l.m., rappresentando un chiaro segnale del livello di frequentazione della città quando le mura esterne erano in funzione.
La discarica
Negli oltre 3,5 m della cosiddetta discarica, sul lato sud-occidentale della città, sono stati messi in luce alcuni livelli sterili, composti da matrice argillosa e compatta (US 7), che in precedenza avevano fatto pensare a strutture difensive precedenti alle mura [10]. Si tratta in realtà di uno strato che presenta maggiore spessore nell’area più distante dalle mura e che quindi sembra provenire dall’esterno dell’area cittadina. Si potrebbe trattare di un apporto occasionale dovuto ad agenti esterni, come il vicino torrente Avlaki che, durante la cattiva stagione, poteva invadere l’area prossima alla sua foce e interessare con significativi apporti sedimentari anche l’area prossima alle mura.
La situazione nell’area settentrionale della cittadella appare più diversificata ed i recenti saggi H/est, H/ovest e Z hanno evidenziato alcune discordanze stratigrafiche rispetto all’interpretazione proposta a suo tempo da Bernabò Brea, secondo il quale durante il periodo Azzurro un poderoso muro eretto sul bordo meridionale del valloncello nel quale scorreva lo Psatià era bastato a contenere lo slittamento del deposito verso questa vaellcola, permettendo di erigere su di esso gli ambienti 204, 205 e 206. Data l’imponenza di questo muro Bernabò Brea lo aveva individuato come traccia di un possibile anaktoron in questa zona [11]. Il saggio Z nei vani 204 e 205 (tra l’altro non comunicanti fra loro) ha messo in evidenza una loro attribuzione alla successiva fase Verde e ha consentito di datare a questa stessa fase il poderoso muro con orientamento S-N che fa da limite ai vani 302 e 304.
La sola struttura riferibile ipoteticamente ad un muro settentrionale di limite dell’insediamento di fase Azzurra è rappresentata dal muro meridionale della (posteriore) stradella 108 bis (muro S) messo in luce dal saggio Hest al di sotto del nuovo megaron dei periodi Verde e Rosso.
In ogni caso la cosiddetta “discarica settentrionale”, individuata dagli scavi Arias negli anni 1931 e 1932 [12] e reindagata con il saggio T, si rivela pertinente piuttosto al periodo Verde.
I cassoni
I nuovi dati [13] mettono in evidenza che la cortina muraria esterna del periodo Azzurro è articolata in una serie di grossi vani rettangolari accostati [14] in una struttura a cassoni. Questi grandi cassoni murari, corrispondenti ai vani 14, 28 e 832, sarebbero stati utilizzati in superficie come bouleuterion (14), granaio (28) e megaron (832) (Tav. 4). Queste strutture, poi usate dagli edifici soprastanti, potrebbero in origine essere state realizzate come una sorta di rinforzo delle mura, come ennesimo ripiego, quando queste ultime dettero cenni di cedimento sotto la pressione della terra. Se così fosse però, i cassoni non corrisponderebbero ad un preciso programma architettonico messo in opera fin dal primo momento di vita delle mura, ma sarebbero il risultato di un intervento successivo, messo in opera per arginare la spinta del deposito sulla originaria cortina muraria.
Infatti se, come pare, queste mura si addossarono al deposito preesistente e più antico, è più probabile che esse assolvessero alla funzione di contenere il tell piuttosto che difenderlo, trattenendo così il terreno su cui bisognava impiantare le nuove costruzioni. Quest’ipotesi circa la loro funzione giustificherebbe anche il poderoso spessore che, nel saggio X, è stato stimato in una dimensione compresa tra m 3 e 3,50.
Le porte
La presenza di una cortina muraria perimetrale costringeva gli abitatori di Poliochni ad accedere alla città attraverso vie obbligate, una delle quali era costituita dalla piccola porta urbica 10, ubicata nel tratto meridionale ed indagata di recente col saggio X. Quest’ultima fu costruita in corrispondenza di una cesura nelle mura e consentiva di accedere alla cittadella mediante due gradini esterni ed una rampa pavimentata con piccoli ciottoli che, dalla soglia di questa porta (7,45 m s.l.m.), conduceva all’interno della città (8,40 m s.l.m.).
La porta principale di accesso alla città (102) coincide con una cesura tra i due cassoni 28 e 14 del circuito murario del periodo Azzurro ma la lastricatura della rampa di accesso copre lo spigolo settentrionale del Bouleuterion, come se esso non avesse assolto più alla sua funzione ed essere quindi la rampa pertinente ad una fase posteriore. Un piccolo saggio condotto nel 1988 proprio in corrispondenza di questo tratto delle mura (saggio C) ha permesso, però, di escludere la presenza di una cortina muraria sotto la rampa e confermato l’esistenza di una cesura nella cortina muraria già nella prima fase della loro costruzione e quindi di un possibile varco di accesso.
Il modello militare prospettato da Della Seta e adottato da Bernabò Brea, conservava un elemento di forza nell’esistenza di una serie di strutture accessorie alla porta 10, in funzione prima della sua occlusione che ora sappiamo riferirsi al periodo Verde.
Si tratta di una specie di avancorpo o una difesa a tenaglia, definito da Bernabò Brea come “propileo 11”. Questa interpretazione tuttavia contrasta con quanto emerge dalle fotografie relative all’intervento di Della Seta e del Pulgisi poi, nelle quali appare chiaro che il livello sommitale di questo cd. propileo non poteva essersi mai elevato ad una quota superiore a quella attualmente conservata, il che mal si concilia con qualsiasi sua funzione difensiva [15].
L’architettura privata
Poiché la città è, a partire da questa fase, contratta all’interno della cortina muraria, le strutture al suo interno si sovrappongono in maniera serrata e quasi inestricabile rendendo pressoché impossibile documentare con chiarezza strutture domestiche riferibili al periodo Azzurro evoluto. Mancano, infatti, tutti quei dati che per le fasi precedenti provengono dalle costruzioni individuate nelle aree esterne alla città, sgombre da stratificazioni seriori.
Tuttavia, grazie ai saggi in profondità condotti da Bernabò Brea nei megara 605 e 832, conosciamo diversi livelli di strutture di questa fase evoluta del periodo Azzurro. Soprattutto il primo di questi due saggi ha restituito informazioni utili a proposito della loro planimetria. Qui infatti sono stati messi in luce due muri rettilinei e paralleli, con andamento N-S sottostanti agli edifici delle fasi più tarde, in relazione ai quali sono stati rinvenuti anche tre diversi suoli abitativi. Nel livello più basso, subito al di sopra degli strati del periodo Nero, oltre ad un muro lungo occidentale, si sono conservati anche resti di un muro corto settentrionale, perpendicolare al primo (Tav. 5a) [16].
Questi muri, realizzati con doppio paramento di piccole pietre e spessore contenuto (60 cm circa), sono conservati per un’altezza complessiva di m 1 su sei filari sovrapposti [17]. Al centro della struttura è stato identificato un blocco parallelepipedo di 40 x 30 cm, “poggiante su una massicciata di pietrame infossata nel suolo medesimo.” [18].
Nel secondo livello sono stati messi in luce i muri lunghi est ed ovest di una struttura che ricalcava la precedente ma non furono rinvenute tracce dei muri corti nord e sud. Questi due muri, dei quali si conosce con precisione solo quello orientale, poiché il muro occidentale cadeva sotto i limiti della trincea, erano conservati per un’altezza di 60 cm e presentavano uno spessore di circa 55 cm. Alla base erano caratterizzati da un primo filare aggettante rispetto al prospetto interno, quasi a costituire uno zoccolo (Tav. 5b).
Sulle rovine di questa struttura venne costruito un altro edificio, i cui muri ripercorrono l’andamento dei precedenti. All’interno di essi e probabilmente sull’asse del vano è stato identificato un pilastro quadrato in muratura, dove doveva esser alloggiato un palo per il sostegno del tetto [19] (Tav. 5c).
L’interpretazione che Bernabò Brea da per queste strutture è quella di tre megara sovrapposti, di cui solo il secondo ed il terzo sono da egli riferiti al periodo Azzurro evoluto [20].
In realtà solo la struttura più antica, che lui attribuisce all’Azzurro arcaico, ha restituito tracce dei muri corti, ma nemmeno in questo caso delle antae frontali. L’attribuzione di queste strutture alla tipologia dei megara è quindi stata proposta da Bernabò Brea solo in base alla loro somiglianza con le strutture dei periodi più tardi, che sono dotate invece di regolari ante.
Ad un riesame dei materiali queste tre strutture sono risultate tutte appartenenti all’Azzurro evoluto e si trovano ad una quota compresa tra m e m, quindi ragionevolmente già incluse in quei livelli assegnati a questo periodo. Un altro muro riconducibile a questa fase evoluta è rappresentato dal muro rettilineo e parallelo al muro esterno del Bouleuterion, individuato all’interno del saggio 1032 dal Sestieri (1934) [21] ed assegnato da Bernabò Brea alla fase arcaica.
Si tratta, in ogni caso, di muri rettilinei con doppio paramento di piccole pietre, per i quali potrebbe essere ancora valida l’ipotesi di Bernabò Brea [22] di riconoscere in essi la prima comparsa della nuova tipologia architettonica domestica del megaron, che troverà poi sistematica e certa applicazione nell’architettura poliochnita dei periodi più tardi [23]. In accordo con lui e con alcuni autori che più recentemente si sono occupati del problema [24], l’introduzione di questo nuova struttura abitativa, composta da una sala ed una sorta di veranda, potrebbe esser collegata con i grandi mutamenti sociali e culturali a cui ben si accompagnerebbe anche il progetto delle mura urbiche. Questo nuovo modello di architettura domestica avrebbe quindi sostituito le semplici architetture modulari rettangolari, diffuse nella fase arcaica.
Ciò appare molto più plausibile di altre ipotesi che vedevano l’adozione, a Poliochni, di unica architettonici nell’ambito Egeo, composti da dimore a pianta indistinta, formate da un’amalgama di vani trapezoidali e poligonali [25]
La tecnica di costruzione di questi muri appare molto simile a quanto documentato nella precedente fase e a quella che si conosce in altri siti coevi, come Samo [26], Beycesultan [27] o Karataş [28].
I muri delle case del periodo Azzurro di Poliochni presentano un’altezza residua considerevole e si deve pertanto ritenere che essi fossero costruiti interamente in pietra fino al tetto, come ancora avviene in molti dei villaggi non distanti dall’area di scavo [29] e non, come negli altri casi documentati archeologicamente, con un alzato in mattoni crudi (Troia e Karataş) o pisé (Karataş) o canniccio rivestito di terracotta (Karataş).
Edifici pubblici
Al contrario di quanto avviene per l’architettura privata sono attestate nel periodo Azzurro evoluto numerose strutture a carattere pubblico con funzioni di natura sociale.
Il cd. Granaio (vano 28)
Con questa definizione fu indicato già dai primi scavatori il più grande vano individuato a Poliochni, subito a Nord della porta principale 102 [30].
Lungo 16,80 m e largo 3,50 m circa, fu messo in luce con interventi successivi diretti da Enrico Paribeni (1934) e da Silvio Accame (1936). Quasi completamente svuotato del suo interro per oltre 4,5 m, questo vano è stato ulteriormente indagato da Alberto Benvenuti nel 1995 [31] con lo scavo stratigrafico del testimone lasciato in situ nella parte centrale.
E stato così definitivamente accertato che quanto già ipotizzato da Bernabò Brea [32] circa l’esistenza di un piano di calpestio ad una quota di 8,50 m s.l.m. circa coglieva nel vero. Questo livello, che i primi scavatori non avevano colto, oltre a rappresentare il suolo d’uso di questo grande ambiente coincide grossomodo con il livello di frequentazione del vicino Bouleuterion.
Tutto l’interro, asportato già negli anni ’30 alla vana ricerca di scansioni interne o di lastre pavimentali del tipo già individuato nel Bouleuterion, non è altro quindi che un riempimento caotico che copre le strutture abitative preesistenti di cui si è già parlato.
Se il vano 28, quindi non fu mai vuoto, viene a cadere anche l’ipotesi di strutture lignee interne che avrebbero dovuto essere sorrette da quei murelli che ora si sa esser precedenti. Era stata questa ipotesi di impalcati lignei, che avrebbero dovuto sostenere livelli pavimentali a quote differenti, che aveva fatto credere che questo grande vano assolvesse alla funzione di granaio cittadino, dove le derrate prodotte dall’intera comunità avrebbero potuto esser immagazzinate su più piani.
La nuova interpretazione di un piano di calpestio in terra alla quota di 8,50 m s.l.s. non lascia più spazio ad una tale ipotesi funzionale, pur non escludendo la funzione di grande magazzino pubblico. Resta comunque senza spiegazione l’assenza di qualsiasi rinvenimento a favore di questa sua eventuale funzione (per esempio i resti di grandi contenitori per derrate).
La stratigrafia del saggio A individua una significativa coincidenza tra il livello di frequentazione del Granaio con quello dello strato 8, interpretato come fase di fruizione esterna delle mura ricostruite dopo il primo crollo e anch’esso posto a quota 8,50 m s.l.m.,.
Il cd. Bouleuterion
è questa una delle strutture architettoniche poliochnite di maggiore rilevanza dal punto di vista storico sociale. Se la sua interpretazione come luogo di riunione del consiglio degli anziani cittadini poteva far sorgere dei dubbi, certo una sua più generica funzione come luogo di adunanza pubblica sembra essere stato dimostrato dal rinvenimento nel 1988 [33], di una scalinata simmetrica rispetto a quella finora nota al di sotto del muro lungo orientale (di fase posteriore). Questa gradinata era appoggiata al muro che il Sestieri, correttamente, aveva assegnato alla fase Azzurra ma non aveva collegato con il Bouleuterion [34].
Il rinvenimento del muro orientale delinea una struttura rettangolare con dimensioni esterne pari a 15 x 7,50 m, rivestita internamente, sui lati lunghi, da un doppio ordine di gradini. Sul lato occidentale, verso l’esterno della citta, il muro presenta uno spessore notevole pari a 2,5 m, mentre quello orientale non supera 1,5 m. Questo minore spessore del muro orientale è dovuto probabilmente al fatto che questo edificio si addossa alle preesistenti mura urbiche, che proprio in questo punto furono danneggiate da un crollo, forse a seguito di un terremoto e prontamente ricostruite.
L’edificio non presenta alcun ingresso verso Nord, sulla rampa 102, come aveva già intuito Bernabò Brea [35] e come nel 1988 è stato confermato dal saggio C [36]. L’ingresso alla grande sala era probabilmente collocato sul lato corto meridionale, in corrispondenza di un livello di ciottoli che ricoprono anche lo stretto viottolo alle spalle del muro orientale [37]. Sembra trattarsi dello stesso tipo di ciottoli che rivestono la rampa di accesso che attraversa la porta 10, con la quale si raggiungeva valicando le mura, una quota analoga (8,40 m s.l.m.) a quella delle poche lastre di pavimentazione ancora conservate all’interno del Bouleuterion (9,03 m s.l.m.). Questa superficie interna doveva essere interamente lastricata e sul lato corto meridionale doveva presentare una sorta di podio o soglia, delimitato da alcune lastre messe di coltello [38].
Al contrario di molte delle dimore private poliochnite, il Bouleuterion non presenta alti muri perimetrali, che risultano conservati per un’altezza massima di circa 70 cm [39]. Anche sul sistema di copertura non sembra possibile aggiunger nulla di nuovo. La presenza della canaletta per il deflusso delle acque potrebbe suggerire l’interpretazione del vano come di uno spazio aperto dove era necessario disciplinare le acque meteoriche, evitandone il ristagno. Questa canaletta, tuttavia, risulta esser stata costruita in contemporanea con le prime mura, quindi prima che alle loro spalle si realizzasse questo vano. Il Bouleuterion potrebbe quindi essersi semplicemente adeguato alla presenza di quest’opera di regimentazione delle acque di scolo dalla città verso l’esterno, anche perché appare singolare che il vano socialmente più rappresentativo di questa comunità fosse stato concepito come uno spazio aperto, privo di protezione dagli agenti atmosferici, in una società che dominava invece con molta maestria le possibilità costruttive offerte dai materiali reperibili in loco.
Certamente il grosso edificio non doveva più avere una funzione così rilevante se, il suo spigolo viene, ad un certo momento, inglobato dalla sistemazione dell’arteria principale che, con la sua lastricatura, ne copre il suo spigolo nord-occidentale.
Spazi comuni
Seppure non sono stati mai effettuati scavi in estensione nelle due piazze principali di Poliochni (103b e 106) si può ugualmente affermare che anche la città del periodo Azzurro non doveva esserne priva.
Infatti, il saggio nella piazza 106, attraverso oltre 5 metri e mezzo di deposito del tutto privi di strutture, ha restituito almeno 2,6 m di deposito stratificato pertinente a questa fase. La presenza in loco di uno spazio libero sembra quindi probabile anche per quest’epoca [40].
Certamente, come nel caso anche dell’altra piazza per le fasi più recenti, questo spazio non aveva solo funzione di luogo di incontro e scambio al centro del villaggio ma rivestiva fondamentale importanza per la presenza di un profondo pozzo quadrato che attingeva alla falda.
Si tratta di una struttura a pianta quadrangolare con una larghezza di circa 1 m, rivestita per tutta la sua altezza di una camicia di piccole pietre squadrate. Il pozzo, profondo 5,7 m, fu in realtà datato da Bernabò Brea al Periodo Giallo sulla base del rinvenimento di abbondante ceramica anche del periodo Giallo al suo interno ma, soprattutto, poiché esso si trova in prossimità di vani di questo periodo.
Una struttura di forma circolare interpretabile come pozzo è stata individuata nel saggio condotto da Bernabò Brea all’interno del megaron 605 [41].
Dopo aver attraversato due metri e mezzo di deposito fu qui individuato un pozzo a canna cilindrica scavato nel terreno ma non delimitato da muri, il cui riempimento era facilmente riconoscibile per il colore e la consistenza del terreno “di colore molto scuro e di gran lunga più soffice [42]… Notevole la poca compattezza di questo deposito nel quale si affondavano le mani come nella sabbia” [43]. Esso si apriva ???
La discarica
Anche durante la fase iniziale di uso delle mura ricostruite dopo il crollo è da escludere la presenza, nel tratto immediatamente ad esse antistante, di una “discarica” o di un qualche accumulo intenzionale di terra, come accertato in numerosi tratti dai diversi saggi. Si segnala invece uno strato antropico presumibilmente connesso con la prima fase di uso dopo la loro ricostruzione, la cui quota sommitale (circa 7 m s.l.m.) coincide grossomodo con la soglia della piccola porta urbica 10 (circa 7,2 m s.l.m.).
Se la discarica individuata di fornte alle mura, che raggiunge quota 9 m. s.l.m., si dovesse riferire già alla fase Azzurra sarebbe stato, infatti, impossibile accedere alla città attraverso questa porta, che è posta ad una soglia considerevolmente più bassa.
Alla luce di questi dati è evidente come la forte pendenza in direzione E-W del deposito archeologico antistante le mura, da Bernabò Brea interpretato come discarica, sia in realtà dovuta alla dislocazione delle macerie delle più antiche mura. Il fatto che queste prime mura siano state prontamente restaurate senza rimuoverne i crolli ha condizionato pesantemente la distribuzione e l’andamento degli strati soprastanti, tanto da farli ritenere uno scarico intenzionale di materiale antropico dalla città vero l’esterno.
Questa nuova e diversa lettura del deposito antistante le mura contrasta con quanto affermato da Bernabò Brea in più parti del suo volume. Egli infatti sostiene che la cinta urbica “presto scomparve sotto un enorme scarico di detriti che venne via via interrandola” [44] e anche che “la cinta urbica era stata appena costruita e già incominciava a formarsi al suo piede un interramento che in un tempo relativamente breve doveva giungere a seppellirla fino al suo culmine conservato” [45].
Quanto invece accertato dai recenti saggi rivela che la cosiddetta discarica altro non è che il risultato del lento processo di formazione, attraverso i secoli, di un deposito archeologico antistante le mura. Queste ultime, al contrario e per un periodo che si prolunga almeno per tutta la fase azzurra, dovevano esser sgombre dai detriti nel loro tratto antistante.
Degli strati formatisi al di sopra del crollo delle prime mura nel saggio A, d’altronde, solo lo strato 8 appare riferibile ad una loro frequentazione, mentre tutti gli altri strati successivi (4, 5 e 6), presentavano una natura diversa ed una minore inclinazione. Essi erano composti, infatti, da un terreno più sciolto, di colore bruno, all’interno del quale non era stato possibile individuare nessuna delle lenti di cenere che avevano caratterizzato gli strati precedenti. Presentavano inoltre uno spessore costante (circa 1,7 m) fino alla quota di 9 m s.l.m. [46] e cioè fino al culmine del deposito conservato.
Su questo livello sommitale si imposta anche la base di un ulteriore rifacimento del muro di cinta, attribuibile ormai al periodo Verde [47] La costruzione di questo tratto di muro potrebbe esser coeva con la sistemazione della strada principale e della rampa di accesso alla città (102a). La proiezione della rampa sul deposito, infatti, coincide proprio con il limite superiore dello strato 4, che potrebbe rappresentare il livello massimo raggiunto dal deposito di fase azzurra, sul quale si imposta una rampa lastricata funzionale ad un nuovo accesso alla città nel periodo Verde.
A questa stessa fase potrebbe infine datarsi anche l’occlusione della piccola porta 10 che il saggio X colloca alla fase verde a causa della realizzazione, in addosso al muro di occlusione della porta, di una struttura abitativa con materiale di questo periodo.
D’altra parte, che quest’area sud-occidentale fosse frequentata anche oltre la linea della cortina muraria appare chiaro nella documentazione fotografica dei vecchi scavi, che riproduce una stradella rimossa (130), che, dalla sommità della collina e attraverso gli isolati XXIV e XXVI, scendeva nella piana retrostante fino a raggiungere i vani dell’isolato XXVI estesi ben oltre il filo della mura.
In questa fase quindi le mura non dovevano esser più visibili, poiché obliterate presumibilmente dallo stesso scarico che anche altrove le aveva ricoperte.
Questo tipo di lettura della parte superiore del deposito del saggio A (strati 4, 5, e 6 compresi tra circa 7 e 9 m s.l.m.) attribuisce, quindi, al solo periodo Verde lo scarico intenzionale di terreno di risulta davanti alle mura con il probabile scopo di tamponare eventuali ulteriori cedimenti delle strutture.
Antonella Traverso
NOTE
[1] Konsola 1986, 9; Konsola, 1990, 468; Effenterre 1990, 485-491; Polycronopoulou 1990, 473-475.
[2] Benvenuti 1997a, 31-32, fig. 5.
[3] E’ questo il caso dello strato 9, all’intenro del saggio A.
[4] Cf. supra, cap. I,3-4.
[5] Poliochni I, 234.
[6] Traverso 1997b, 680-681.
[7] Poliochni I, 218-219.
[8] Bernabò Brea ne contò almeno sei, due nel tratto di mura sud-occidentale 9-12 e quattro ricavate nel muro occidentale del cd. granaio. Benvenuti, nel saggio da lui condotto, ne identificò una settima.
[9] Quella che corrisponde al piano di calpestio del bouleuterion svolge ancora questa funzione.
[10] Arkontidou – Tiné – Traverso 1993, 364.
[11] Cf. Poliochni I, 255-259p.
[12] Poliochni I, 259-268.
[13] Cf. già Tiné S. 1997b, 201-210.
[14] Da Nord a Sud si possono individuare il megaron 832 e i vani 28 e 14.
[15] D’altra parte era impossibile ricercare elementi in favore di uno o dell’altro modello interpretativo, non essendo rimasta altra area di indagine se non quella dello scavo Puglisi, le cui strutture erano state rilevate negli anni ’30 e riportate nel rilievo pubblicato da Bernabò Brea senza ulteriori controlli, poiché l’area risultava essere stata minata durante l’occupazione tedesca dell’isola. Tenendo conto di questo impedimento tutt’ora esistente e del fatto che quest’area era stata completamente abbandonata in questi ultimi 50 anni, e quindi invasa da sterpi e vegetazione spontanea, anche noi ci siamo limitati ad una rilettura delle strutture messe in luce e rilevate da Della Seta sulla base però del nuovo modello interpretativo.
[16] Séfériades 1985, 84.
[17] Poliochni I, fig. 56.
[18] Poliochni I, 97.
[19] Poliochni I, 99.
[20] Poliochni I, 84-85.
[21] Poliochni I, Atlante tav. 10.
[22] Poliochni I, 96.
[23] Se in origine il termine fu applicato per le scoperte dei palazzi di età micenea, in realtà ben presto il termine di megaron finì per indicare una costruzione isolata nello spazio e composta da una, od in qualche caso due sale e da un portico sul davanti del lato corto. Un contributo di Warner chiarisce che il megaron ha inoltre i muri lunghi in antae ela fronte del lato corto posteriore collocata spesso leggermente più indietro della fine dei muri lunghi. Ciò dà l’impressione di una specie di antae anche sul lato posteriore.
[24] Warner 1979, 136 -137; Werner 1993, 9-13.
[25] Séfériades 1985, 118
[26] Milojcić 1961; Isler 1973, 173-175.
[27] Loyd – Mellaart 1962, 000-000.
[28] Mellink 1968, 243-263; Mellink 1969, 319-331; Mellink 1970, 245-259; Mellink 1974, 351-359.
[29] Σηφουνάκης 1993.
[30] Poliochni I, 192.
[31] Benvenuti 1997a, 24-33.
[32] Poliochni I, 218-219.
[33] Arkontidou – Tiné – Traverso 1993, 368.
[34] Poliochni I, 103-106.
[35] Poliochni I, 179.
[36] Arkontidou – Tiné – Traverso 1993, 369.
[37] Già Bernabò Brea aveva avanzato una simile ipotesi: v. Poliochni I, 179.
[38] Poliochni I, Atlante tav. 10.
[39] Poliochni I, 41.
[40] Poliochni I, 51.
[41] Poliochni I, 51.
[42] Poliochni I, 52.
[43] Poliochni I, 117.
[44] Poliochni I, 136.
[45] Si tratta anche della quota corrispondente al piano di calpestio del bouleuterion.
[46] Arkontidou – Tiné – Traverso 1988, 361.