PRESENTAZIONE

Parlare di Poliochni  dà la sensazione di entrare in una veneranda antica cattedrale piena di ricordi e sempre in grado di trasmettere la memoria dei grandi del passato che in un passato non lontanissimo, poco meno di un secolo fa, si sono coperti di gloria su quella collinetta in riva al mare di fronte a Troia ed alla costa anatolica.

Non solo, ma hanno contribuito alla gloria dell’archeologia italiana nell’ Egeo, da quando, nell’estate del 1930, due allievi della Scuola Archeologica Italiana di Atene, G. Caputo e F. Magi, hanno avuto la ventura di scoprire questo straordinario sito preistorico nel corso di una ricognizione predisposta dal direttore, il grande Alessandro Della Seta, il quel non esitò un istante a trasferire qui l’attività della Scuola sul terreno, con tutti  gli allievi: lo studioso era alla ricerca di quella documentazione circa il ruolo di Lemno nella etnogenesi etrusca.

Ma, purtroppo, non era Poliochni il sito da cui avrebbe ottenuto la risposta desiderata; assai antico e, nello stesso tempo, non più attivo dopo la metà del II millennio, troppo presto per poter intrecciarsi con gli Etruschi evocati dalla celebre stele di Kaminia all’origine di una querelle ancora viva ai nostri giorni.

Fino alla rimozione del prof. Della Seta in seguito alle infami leggi razziali del 1938, tranne una parentesi ad Efestia nel 1937, gli allievi della Scuola scavarono il grande abitato che oggi visitiamo. Non si contano le storie ‘eroiche’ di scavi eseguiti con un caldo insopportabile o episodi come lo smarrimento della cartella con le paghe degli operai e le borse degli allievi o i mugugni contro il tirannico direttore ed il suo criceto. La fortuna di quella Poliochni fu l’arrivo, nella fase finale della ricerca, di un allievo geniale, Luigi Bernabò Brea, e del suo amico Salvatore Puglisi, il futuro grande studioso di preistoria.

Non ebbe dubbio alcuno, e bene fece, il direttore Doro Levi ad affidare a Bernabò Brea  nel primo dopoguerra, il compito di riesaminare documentazione, i taccuini di scavo, per procedere all’edizione scientifica dello straordinario insediamento.

Erano i duri anni ’50 del XX secolo, da poco era finita la guerra, le truppe di occupazione tedesca avevano lasciato Poliochni in uno stato miserando, avendo, tra l’altro, utilizzato le cassette di legno con i frammenti ceramici per accendere il fuoco. Il materiale archeologico era perciò ammonticchiato in modo confuso; ci sono volute la scienza, la bravura e la pazienza di Luigi Bernabò Brea per mettere ordine e realizzare quell’autentico gioiello dell’editoria scientifica che sono Poliochni I Roma (1964) e II (Roma 1976).

Venendo ai nostri giorni è merito del direttore A. di Vita aver curato non solo la manutenzione dei monumenti (che continua anche ai nostri giorni, tra non poche difficoltà) ma aver affidato il compito di continuare le ricerche ad un altro notevole studioso di preistoria egea come Santo Tinè. L’illustre collega e amico carissimo, da poco scomparso, intorno alla sua cattedra genovese raccolse intorno a sé un gruppo di allievi agguerriti e realizzò quelle campagne di scavo e restauro con la rilettura di tutta la vicenda insediativa che ora  (con questo Poliochni III) vede finalmente la luce. Si tratta di un lavoro accurato che ha richiesto una lunga fase di elaborazione dei dati, la cui pubblicazione non tarderà a fare sentire i suoi effetti benefici nello studio delle preistoria di questo angolo grandioso del Nord Egeo, quest’isola di Lemno nella quale le recenti scoperte di un’altra Poliochni, nel sito di Richa Nerà a Myrina, portano l’isola sempre più alla ribalta di una fase della storia della civiltà antica agli albori dell’età dei metalli.

Chiudo ricordando un episodio che mi viene in mente ripensando al caro Santo Tinè, il quale, nel nostro ultimo incontro, mi esprimeva il suo grande rammarico per non essere riuscito a trovare la necropoli di Poliochni (che doveva trovarsi a suo avviso dalle parti della vicina collina di Dermatàs, poco a sud dell’abitato).

Questo è il compito che tocca ora agli allievi di Santo. La natura della cose vuole che uno dei principali compiti dei Maestri, alla fine, sia quello di indicare la strada da proseguire.

Emanuele Greco